mercoledì 25 giugno 2008

L'ultimo grande polmone della terra

Il bacino dell'Amazzonia (o bacino amazzonico) è il bacino idrografico del Rio delle Amazzoni e dei suoi affluenti. Comprende un'area di quasi 7 milioni di km², che considera molti grandi paesi del sud america dal Brasile al Venezuela, Colombia, Peru', Equador, Bolivia e Guyana.
Si estende prevalentemente per un'area di 4 milioni km² di pianura: in alcune parti del Perù, infatti, il Rio delle Amazzoni scorre a soli 106 metri sopra il livello del mare. Si può quindi calcolare che questo enorme corso d'acqua scende di soli tre centimetri e mezzo ogni chilometro.
Il solo Rio delle Amazzoni percorre in linea aerea circa 2.900 chilometri, mentre il percorso effettivo, calcolando anche il primo tratto di fiume che ha un altro nome, ammonta a 6.280 chilometri. Resta comunque sempre il secondo fiume più lungo al mondo: il record lo detiene il Nilo, con i suoi 6.671 chilometri di lunghezza, ma con un bacino fluviale di soli 2.867.000 chilometri quadrati di ampiezza.
Questi freddi dati geografici ci permettono di inquadrare fisicamente un'area del nostro pianeta ma l'Amazzonia è qualcosa di più di un ecosistema, di una grande foresta, di un immenso paese; l'Amazzonia è il nostro futuro.
Nei numeri precedenti del nostro giornale abbiamo trattato argomenti caldi di paesi a volte dimenticati in cui vengono regolarmente perpetrate ingiustizie e violenze fisiche sui loro abitanti.
Qualche volta anche i media si accorgono di questi fatti magari in occasioni particolari come i giochi olimpici, per poi tornare a dimenticarsene.
Dell'Amazzonia si parla poco, quasi mai, forse perché' molto spesso pensiamo si tratti in fondo di un posto disabitato da cui non si levano grida di aiuto capaci di farsi sentire.
In realtà' quest'area del pianeta e' tutt'altro che desolata; e' un paradiso terrestre abitato si da mammiferi, uccelli, insetti e pesci ma anche da popoli e civiltà' umane.
Questo paradiso e' in pericolo e rischia di essere perduto per sempre.
Purtroppo l'immensa Amazzonia ha una disgrazia: è una regione troppo piena di ricchezze naturali nascoste per poter sopravvivere impunemente alle esigenze economiche dei paesi in cui si estende.
Il debito estero del Brasile è il più alto del mondo e non è dunque pensabile che il governo rinunci allo sfruttamento di tali ricchezze naturali, anche se da qualche anno la Banca Mondiale riceve pressioni affinché i prestiti futuri siano vincolati alla conservazione dell'ambiente.
Ovviamente la nostra societa' in marcescenza e' più' interessata alle ricchezze naturali che al genocidio di intere popolazioni indios che vivono nella foresta.
Oggi, comunque, a trarre profitto dallo sfruttamento e quindi dalla distruzione della foresta non e' solo il governo di Brasilia, bensì un pugno di latifondisti; un centinaio di imprese che da sole possiedono 40 milioni di ettari di terra e multinazionali giapponesi ed europee.
Esaminiamo quindi quali sono le catastrofi che oggi minacciano il futuro dell'Amazzonia e di conseguenza anche il nostro.
Prima di tutto il genocidio degli indios. Militari, latifondisti, piccoli contadini, garimpeiros e avventurieri di ogni risma sono uniti di fatto in una silenziosa guerra senza senza quartiere con le popolazioni indios a cui vengono espropriate le riserve.
Queste popolazioni indigene sono vittime di assassinii, o delle malattie dei bianchi contro cui non sviluppano anticorpi, e sembrerebbe troppo facile pensare che questa sorta di pulizia etnica sia spinta e finanziata dalle multinazionali che hanno interessi in queste aree. Indubbiamente l'atroce sospetto rimane.
Intanto gli indios sono ormai ridotti a poche decine di migliaia di unità, e quasi certamente sono destinati all'estinzione.
Queste popolazioni, dal punto di vista tecnologico, solitamente sono rimaste ferme all'eta' della pietra e costituiscono una fotografia di come eravamo migliaia di anni fa e custodiscono un patrimonio di valori umani e ricchezze interiori che noi “civilizzati” abbiamo perduto e che estinti loro, avremo perso per sempre.
Poi ci sono gli incendi, e non parliamo degli incendi naturali. I dati sono controversi, ma più' del 10% della foresta vergine sarebbe già stata distrutta dal fuoco dei fazendeiros e di migliaia di piccoli contadini attirati dalla speranza di entrare in possesso di un pezzo di terra coltivabile. Ne consegue un'impressionante emissione di anidride carbonica che sta contribuendo all'innalzamento della temperatura in tutto il pianeta.
Che dire del traffico di legname? Una parte consistente, benché secondaria, della distruzione della foresta vergine è collegata al traffico di legname pregiato come il mogano e alti fusti secolari di cui è impossibile la riproduzione.
Molto spesso, dopo il taglio degli alberi, la residua foresta è data alle fiamme e sulle sue ceneri vengono seminate piante erbacee a crescita rapida, la cui natura infestante impedisce la crescita di nuovi alberi. Ma anche i pascoli spesso durano poco: in breve tempo il sottilissimo manto fertile della foresta si consuma senza rigenerarsi e, priva della protezione dei rami, l'umidità viene asciugata dal sole lasciando spettrali distese di argilla rossiccia.
Nel corso degli ultimi decenni la quota amazzonica nella produzione di legname del Brasile è salita dal 14 % all'85 %, tanto che solo nel 1997 la regione ha fornito almeno 28 milioni di mq di legname. Fonti ufficiali ammettono che l'80 % di tale produzione è illegale. Ma anche l'estrazione considerata legale è altamente distruttiva: impiega tecnologie inadeguate così che due terzi del legname viene sprecato.
Ogni anno, in aree isolate e inaccessibili, l'industria del legname penetra nella foresta, devastandone aree immense che non compaiono nelle statistiche ufficiali. Negli ultimi vent'anni in Brasile, l'industria del legname ha spazzato via milioni di ettari di foresta primaria amazzonica, preparando il terreno ad altre attività altrettanto distruttive quali l'allevamento e l'agricoltura attraverso l’apertura di nuove strade.
Questo ci conduce al problema delle opere infrastrutturali come la costruzione di autostrade e grandi dighe per la produzione di energia idroelettrica.
Per la loro costruzione sono stati allagati immensi territori. La sola diga di Tucurui ha comportato la distruzione di 246 mila ettari di vegetazione tropicale che, marcita sotto le acque, emette gas velenosi e corrode irreparabilmente le stesse strutture della diga.
Nel solo stato del Pará sono state aperte vie di comunicazione per 3.000 chilometri, benché fino ad oggi vi abbiano operato solo piccole e medie imprese dotate di mezzi ridotti.
Per non parlare poi delle miniere. L'estrazione di ferro, dell'uranio e di altri minerali (quasi tutti esportati dalle multinazionali) produce distruzione ben oltre le zone in cui sono state aperte le miniere. Il bacino minerario del Carajas, ad esempio, ha comportato con spese enormi la costruzione di un'apposita ferrovia di 900 chilometri e della Grande perimetrale norte per trasportare il ferro fino al porto di Madiera, e lungo tutto il percorso la polvere nociva danneggia irreparabilmente la foresta. Le miniere poi attraggono decine di migliaia di diseredati che alimentano la criminalità.
Non più di un quinto delle foreste originarie del pianeta è rimasto intatto. La metà di ciò che resta è minacciata dalle attività minerarie, agricole e soprattutto dall'estrazione commerciale di legname. L'Amazzonia brasiliana è la più grande estensione al mondo di foresta primaria: milioni di ettari, un terzo del totale di tutto il Pianeta. Non basterebbe un'intera biblioteca per descriverne le immense vastità, le meraviglie, i contrasti. Una grande parte del suo patrimonio e' ancora sconosciuta.
La foresta amazzonica è un tutt'uno con i popoli che la abitano. È grande e ospitale e, se non viene aggredita, permette una vita dignitosa a tutti i suoi abitanti. Per questo la difesa dell'Amazzonia è indissolubilmente legata ai grandi problemi sociali del Brasile, dalla riforma agraria, ai diritti delle nazioni indigene, a quelli delle comunità locali.
Non esiste una soluzione unica, ma un insieme di strade da percorrere coinvolgendo più attori, nello sviluppo di attività compatibili, quali la raccolta di gomma naturale, di frutta selvatica e noci, di fibre, di miele, di piante medicinali.
Potrebbe anche essere avviato uno sfruttamento eco-compatibile del turismo e delle risorse ittiche e forestali.
Per questo è necessaria la creazione di una fitta rete di parchi naturali, a cui affiancare riserve esclusive in cui svolgere attività garantite da un monitoraggio costante degli standard di compatibilità ambientale. Questo potrebbe aprire la strada ad uno sviluppo armonico dell'Amazzonia, assicurando ai venti milioni di persone che la abitano la sussistenza e la continuità di cultura e tradizioni.
In ogni caso quello che possiamo fare, che dobbiamo fare, è proteggere l'ultimo grande polmone del pianeta e con lui il nostro futuro.

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